IL SETTIMO NUMERO DE L'ECOLOGIST E' IN VENDITA IN LIBRERIA

il nuovo numero dell'Ecologist

Banner Ecoradio

La diversità delle piante negli ecosistemi agricoli

di Edward Goldsmith

L'agricoltura tradizionale utilizzava una vasta gamma di piante diverse. fl che offriva notevoli vantaggi. Fra le altre cose era una forma d'assicurazione. II contadino che coltiva una sola varietà di piante corre il rischio che le condizioni atmosferiche in un dato anno possano non essere favorevoli al suo raccolto. Le stagioni possono non essere adatte o le sue colture infestate quell'anno da qualche malattia. Come osserva il professor Pimentel della Cornell University «nessun singolo organismo può utilizzare tutte le forme di energia e tutte le risorse nutritive, può difendersi da tutti i genotipi ospiti, o sopravvivere in tutte le condizioni di temperatura e umidità, o resistere lui stesso a tutti i parassiti e predatori anche se certi organismi sono capaci di tollerare un ventaglio un po' più largo di condizioni ambientali rispetto ad altri».
Quanto maggiore è la diversità delle piante del contadino, tanto minore è il suo rischio, dato che almeno alcune delle sue colture saranno in grado di tollerare le condizioni stagionali ed è estremamente difficile che le invasioni parassitarie colpiscano tutte le sue colture.

I popoli tradizionali dovevano garantire la disponibilità di cibo nonostante le variazioni climatiche. Perciò, come ci testimonia Steven Feierman, il contadino Shamba della Tasmania «doveva seminare una grande varietà di colture diverse, con molte caratteristiche, per sopravvivere qualsiasi fossero le variazioni climatiche per non essere di fatto spazzato via. Studiando accuratamente la sua specifica area ecologica, per capire la sua complessità, con una cocciutaggine incomprensibile a un occidentale anche rurale, sviluppando un linguaggio ricco e sottile, con una profusione di termini per la comprensione dell'ecologia locale, seminando decine di colture diverse particolarmente adattate all'ambiente, il contadino cercava di sconfiggere la fame e ingannare la morte».
Lo stesso vale per il contadino europeo tradizionale. Come riferisce James C. Scott «tenta di evitare i danni che lo rovinerebbero invece di cercare una grande, ma rischiosa lotta contro le malattie e le condizioni atmosferiche. Nel prendere le decisioni, il suo comportamento è antirischio: minimizza la probabilità soggettiva di massime perdite». Scott dimostra come l'agricoltura contadina ha senso solo se si capisce questo principio. «E innanzitutto il principio dell'assicurazione» scrive, «che sottintende molte delle soluzioni tecniche, sociali e morali di un ordine agricolo precapitalista. L'uso di più di una varietà di semi, la tradizione agricola europea di coltivare appezzamenti sparpagliati, per ricordarne solo due, sono tecniche classiche per evitare rischi impropri spesso al prezzo di una riduzione della produzione media».

Naturalmente la minimizzazione dei rischi non riguarda il moderno imprenditore agricolo orientato al mercato. Egli cerca solo il massimo profitto, perciò adesso si seminano pochissime varietà; più che altro quelle che danno i guadagni maggiori e, più ancora, quelle più sensibili ai fertilizzanti chimici, alle irrigazioni artificiali e agli antiparassitari. Le ragioni sono due, la prima è che le nuove varietà di frumento e di riso introdotte dalla «Rivoluzione industriale Verde», le cosiddette varietà ad alta resa o HYV sono particolarmente sensibili ai fertilizzanti, agli antiparassitari e all'irrigazione artificiale e, applicare una sufficiente quantità di questi mezzi fornirà un'evidente abbondanza di prodotto. La seconda ragione, connessa alla prima, è che questi mezzi sono stati massicciamente finanziati con sussidi in tutto il mondo rendendo particolarmente conveniente coltivare le varietà che fanno il massimo uso di questi strumenti. Di conseguenza venti anni dopo la loro introduzione, una grande fetta delle varietà tradizionali di grano e riso e certamente anche di molte altre piante alimentari sono praticamente scomparse. Nello Sri Lanka, per esempio, esistevano una volta circa 400 varietà diverse di riso, oggi ne restano circa 20. In India c'erano un tempo qualcosa come fra 30.000 e 70.000 varietà diverse di riso e stanno scomparendo velocemente.
I contadini tradizionali quando seminavano molti tipi diversi di piante, non lo facevano a caso.
Speciali consociazioni dei raccolti sono desiderabili per diversi motivi. In un sistema di colture intercalari ben progettato, le piante insediate per prime ridurranno la temperatura del suolo e produrranno il microclima adatto ad altre piante. Nell'orticoltura giavanese a più livelli e in sistemi di agricoltura forestale come quelli scoperti nello stato indiano del Karnataka e nella zona umida dello Sri Lanka, gli alberi che chiudono il manto forestale (spesso jack fruits, palme da cocco, manghi, alberi del pane ecc.) proteggono le colture di cespugli da bacche come il cinnamomo, il cardamomo, il tè, il caffè e quelle che crescono a livello del suolo come la cassava e il riso coltivabile senz'acqua, assicurando gli elementi nutritivi che forniscono loro il microclima adatto. Le piante sono complementari l'una all'altra nei cicli nutritivi, così quelle a radice profonda possono funzionare da «pompe nutrizionali» portando in superficie i minerali da strati profondi del sottosuolo. I minerali rilasciati dalla decomposizione delle piante annuali sono assorbiti da quelle perenni. L'intensità nutritiva di alcune piante che impoveriscono il suolo è compensata dall'apporto di materia organica da parte di altre piante. Così i cereali traggono beneficio dall'essere coltivati in consociazione con legumi che hanno radici più profonde e consentono un migliore uso delle sostanze nutritive e dell'umidità del suolo o dei noduli radicali sui quali vivono i batteri specializzati nella fissazione dell'azoto. Il mais e il sorgo per esempio possono essere coltivati vantaggiosamente insieme a leguminose come i piselli e il loietto italico.
Anche l'assorbimento del fosforo aumenta molto se si mettono insieme piante compatibili con le mycorize (particolari funghi che vivono sulle loro radici e svolgono un importante ruolo nel rendere disponibili per loro le sostanze nutritive presenti nel suolo).
E anche ovvio che coltivando una vasta mescolanza di colture diverse, si aumenta la biomassa totale e con essa la quantità di materia organica

che può essere restituita al suolo o data da mangiare agli animali il cui letame viene poi usato per concimare.
In Senegal è stato scoperto che un tradizionale sistema colturale arboreo da allevamento animale, l'acacia albida, è capace di mantenere in modo sostenibile 50-60 persone per ettaro, che corrisponde a molte volte il numero di persone che può essere mantenuto nella stessa zona con una monocoltura industriale. Una delle ragioni è che l'acacia lascia cadere le sue foglie nella stagione delle piogge e la lettiera fogliare va ad aggiungersi al contenuto sia organico che azotato del terreno. Nella stagione secca le foglie e i semi forniscono cibo per gli animali che allora possono dare il letame che migliora ulteriormente il suolo per la coltivazione del miglio. Gli alberi forniscono anche l'ombra di cui gli animali hanno molto bisogno nella stagione asciutta.
Le colture intercalari riducono al minimo le fonti di disturbo del sistema agronomico poiché il suolo è in gran parte coperto dalla vegetazione e così protetto dagli elementi. Fra gli agricoltori swia'den (area di coltivazione temporanea dopo il taglio e la bruciatura della vegetazione), la coltivazione non ha stagioni di sosta ma continua tutto l'anno e la diversità delle colture protegge il suolo per gran parte dell'anno, l'erosione è ridotta al minimo. Il ministero dell'agricoltura del Sarawak ha fatto delle verifiche sull'erosione nei poderi di swidden nei quali le colture sono presenti in terreni molto scoscesi con più di 25 gradi di gradiente. E stata osservata un'erosione insignificante. Ma quando questi terreni sono stati messi in produzione permanente su pendenze inadeguatamente terrazzate, sono avvenute serie erosioni con formazione di solchi erosivi. Sembra adesso abbastanza certo che le colture intercalari con piante complementari, una pratica nota come «consociazione vegetale», possono aumentare piuttosto sostanzialmente le produzioni. L'antropologo Paul Richards ha dimostrato che nello stato pianeggiante della Nigeria, là dove il mais è coltivato in modo intercalare con il sorgo in un podere tradizionale, utilizzando i fertilizzanti organici, la produzione è quasi quattro volte più alta di quando le stesse colture sono coltivate separatamente in condizioni simili. Anche in Messico è stato riscontrato che una mescolanza di mais, fagioli e zucche produce il 70% di alimenti in più, del mais coltivato da solo.
Come abbiamo detto, la diversità delle colture è un modo per ridurre la vulnerabilità ai parassiti. II prof. Altieri dell'Università di Berkeley in California, considera che «le monocolture sono quasi senza eccezione, tendenti alla patologia». D'altra parte in un ecosistema diversificato resta solo una piccola nicchia a disposizione dei parassiti che di solito sono specifici a particolari colture e perciò è improbabile che proliferino. Ma quel che conta ancora di più, è che la presenza di alcune piante riduce la vulne-rabilità ad alcuni parassiti. Ad esempio in Colombia è stato scoperto che i fagioli quando crescono insieme al riso coltivato senz'acqua, provocano il 25% in meno di pseudaletia unipuncta, a confronto con i fagioli cresciuti separatamente. Anche le popolazioni di un altro parassita, Oulema oryzae, diminuiscono quando i fagioli e il mais sono coltivati insieme rispetto a quando sono separati. E stato dimostrato che anche le popolazioni di cicadellide sono 23 volte più basse nelle policolture di mais rispetto alle monocolture.
Traseminando le piante intercalari da 10 a 20 giorni prima della coltura sensibile agli Oulema oryzae e alle acicadellide ha permesso un'ulteriore riduzione nell'incidenza di questi parassiti. Secondo Altieri, è stato anche dimostrato che aumentando la diversità delle malerbe con l'uso di erbacce in bordura e strisce di colture intercalate con altre di erbai o garantendo la presenza di erbacce in dati periodi di crescita delle colture, si riducono le infestazioni dei parassiti. Il sistema di colture intercalari di mais, fagioli e patata dolce si sa che inibisce la competizione delle malerbe.
Secondo Altieri molte malerbe dovrebbero essere considerate risorse,
come fanno i contadini tradizionali, invece di essere sistematicamente eliminate come avviene nella moderna agricoltura industriale. In un agroecosistema ad alta diversità vegetale, le malerbe singole è facile che siano di bassa densità e offrano scarsa competizione con le colture, al contrario possono servire a tutta una serie di funzioni utili come emerge da uno studio di piante selvatiche presenti nei campi di riso, coltivati secondo le tradizioni più antiche in India. Anche i contadini tradizionali cercavano di conservare la diversità delle piante nel tempo e nello spazio prevenendo così lo sviluppo di una nicchia permanente per i potenziali parassiti. Perciò evitavano di coltivare sempre le stesse piante sul medesimo campo e ogni anno seminavano piante diverse. Di solito i coltivatori tradizionali del riso coltivano varietà diverse ogni anno anche se hanno disponibilità di acqua per l'irrigazione. Una delle ragioni di questo è evitare i danni causati dalla piralide del riso. Il resto dell'anno il terreno può restare abbandonato o pascolato dagli animali domestici, che anche loro proteggono la fertilità del suolo insieme alla pratica di sovesciare le erbe infestanti e le stoppie.
Può essere utile garantire la massima diversità nel mondo degli insetti, dei funghi e degli altri parassiti potenziali. Sta diventando sempre più chiaro che è spesso vantaggioso permettere una piccola infestazione parassitaria invece di eliminare i parassiti con sostanze chimiche. Anche questa è di nuovo una questione di assicurazione. Una piccola infestazione parassitaria può restare relativamente stabile mentre cercare di eliminare il parassita può portare a un'infestazione maggiore, in gran parte perché l'antiparassitario uccide anche il predatore naturale del parassita e altera il metabolismo della pianta gonfiandola di amminoacidi sciolti che la rendono più soggetta agli attacchi dei parassiti. Richards, che abbiamo già citato, nota «che un basso livello di volontaria infestazione del ragnetto del genus tetranychus, stimola una risposta immunitaria del cotone, riducendo così la sua vulnerabilità a infestazioni serie».

Anche il professor Pimentel della Cornell University considera che si possono evitare le epidemie mantenendo la diversità genetica delle piante coltivate.
Nelle condizioni naturali, la resistenza è assicurata dall'azione combinata di un vasto numero di geni. Per usare le parole di Pimentel «la resistenza è poligenica e quindi stabile». Ciò spiega perché nella fertile mezzaluna, in Medio Oriente, dove hanno avuto origine e crescono naturalmente i progenitori del grano, dell'orzo e dell'avena, i «cicli a crescita boom distruttiva tipici dei parassiti patogenici nelle popolazioni ospiti non si verificano e nemmeno le epidemie nei raccolti. La grande resistenza poligenica esistente nelle popolazioni di grano ospitanti apparentemente stabilizza il sistema parassita-ospite».
Si proclama adesso che con l'ingegneria genetica sarà possibile allevare varietà invulnerabili a qualsiasi tipo di nuovo patogeno. Ma non è molto verosimile. Pimentel sottolinea che l'ingegneria genetica tenderà a ottenere la resistenza ai patogeni in gran parte modificando singoli geni. Ma la resistenza ai patogeni è solo temporanea quando è ottenuta in questo modo. Una resistenza ai patogeni di lunga durata può richiedere il cambiamento di almeno 10 e fino a 20 geni che al momento è una cosa quasi impossibile da immaginare. Come mette in guardia Pimentel, «richiederebbe una grande riorganizzazione e reintegrazione del menoma e una significativa quantità di risorse degli organismi e ciò non si può ancora ottenere».
Al di là di tutto questo, siamo totalmente impegnati in politiche agricole che possono solo aumentare ulteriormente la quantità di terra in monocoltura e intensificare l'uso di sostanze chimiche di sintesi, tutte tecniche che ridurranno ancora la diversità nei nostri ecosistemi agricoli. Persino coloro che promuovono questa politica disastrosa, come le agenzie delle Nazioni Unite e i governi nazionali, hanno espresso la loro preoccupazione per la crescente diminuzione della diversità degli agroecosistemi. La Banca mondiale è arrivata al punto di tracciare un Piano d'azione in difesa della Diversità biologica che doveva essere seguito da una Task Force della Banca Mondiale stessa sulla Biodiversità. Ma il piano non colpisce le vere cause del problema. Non cerca di ridurre la distruttività dei processi agricoli moderni. Si occupa di mettere da parte riserve con le quali la biodiversità possa essere conservata con cura. John Spiers della Banca mondiale ha intanto raccomandato l'ulteriore intensificazione delle pratiche monocolturali in agricoltura e forestazione come un modo di «conservazione della diversità biologica». L'idea che sta dietro a quest'affermazione è che, aumentare ancora le produzioni sulle attuali terre coltivate, renderebbe inutile portare a coltura ulteriori terre selvatiche, un argomento usato continuamente dalla Fao che ha guidato l'intensificazione dell'agricoltura in tutto il terzo mondo. E naturalmente un argomento insostenibile perché l'intensificazione agricola è la causa principale dell'attuale massiccio tasso di degradazione dei suoli, in conseguenza del quale sempre più terre agrarie degradate vengono tolte dalla produzione ogni anno. Aumentare ancora le pratiche dell'agricoltura intensiva può solo aumentare il tasso con cui la terra viene sottratta all'agricoltura, da cui la necessità di mettere in produzione sempre più terre vergini. In ogni caso, la diversità biologica del mondo non può essere conservata in piccole riserve che sono molto vulnerabili alle iniziative di sviluppo edilizio pubbliche o private, ufficiali o ufficiose. Il futuro degli attuali parchi e riserve naturali in tutto il mondo è già piuttosto incerto. Dovunque vengono violati sia dagli speculatori edilizi che da occupanti abusivi. In ogni caso la diversità biologica non è una cosa che si può solo mettere da parte per quando diventerà necessaria in futuro: è necessaria proprio adesso come ingrediente essenziale del tipo di agricoltura che è la sola in grado di dar da mangiare alla popolazione mondiale su un piano che si avvicini alla sostenibiità.
L'argomento che la biotecnologia può far nascere nuove forme di biodiversità è irrilevante. John Duesing della Ciba-Geigy afferma che la protezione dei brevetti insieme al libero scambio serve a stimolare lo sviluppo della diversità genetica, rendendo disponibili per il nostro problema alimentare tanti tipi di «soluzioni genetiche». Eppure, come sottolinea Vandana Shiva, «la diversità delle strategie delle multinazionali e la diversità delle forme di vita su questo pianeta non sono la stessa cosa e la competizione fra multinazionali non può essere considerata un sostituto dell'evoluzione naturale nella formazione di diversità genetica». Chiaramente non è una qualunque diversità di cui abbiamo. bisogno. L'ecosfera, o 'Gaia', come la chiama James Lovelock, è un sistema naturale. Come tale è un'organizzazione di esseri viventi e questa organizzazione ha una struttura delicata che ha bisogno di essere tutelata per garantire la sua stabilità (cioè la sua omeostasi) di fronte alle minacce interne ed esterne. Le forme di vita geneticamente ingegnerizzate prodotte da Genetech e altre multinazionali del genere non contribuiscono a salvaguardare la delicata struttura dell'ecosfera, al contrario sono aliene da essa proprio come il coniglio dagli ecosistemi australiani o come la polifaga (Lypmantria dispar), la formica di fuoco (Solenopsis invicta), il tarlo dell'abete rosso (Choristoneura fumiferana) e gli altri parassiti importati negli ecosistemi del nord America. Come tali, invece di contribuire alla sua stabilità potranno avere facilmente l'effetto opposto con conseguenze disastrose per l'agricoltura e perciò per la sicurezza alimentare.