IL QUINTO NUMERO DE L'ECOLOGIST E' IN VENDITA IN LIBRERIA

il nuovo numero dell'Ecologist

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PRESENTAZIONE

di Giannozzo Pucci

L'inizio della discesa produttiva del petrolio impone alla società
industriale avanzata, detta anche società dei consumi, di toccare per
la prima volta una realtà, sull’eliminazione della quale questa società si è
costruita: il limite. Lo stato primatista nella corsa al progresso, gli Stati Uniti d’America,
ha sviluppato e diffuso nel mondo un’etica del successo incentrata sulla
frontiera, cioè la ridefinizione dei limiti per romperli continuamente con
una guerra di conquista e trasformazione. Una volta raggiunto l’oceano
Pacifico, l’epopea del West si è spostata verso altri teritori, nella ricerca
scientifica o nel cosmo, sempre sul principio dell’inesistenza di frontiere
naturali invalicabili. La stessa idea di una fonte di energia inesauribile, pulita, a basso
prezzo, che sta animando da decenni i sogni e le attività di tanti ricercatori
è figlia di una concezione della natura a cui la tecnologia ha tolto confini
e identità. Nell’antichità, i limiti s’indebolivano tanto più quanto più si entrava
nella dimensione della guerra, cioè della mancanza di rispetto per le leggi
della natura. Il tempio di Giano bifronte, il dio latino dei confini, restava
aperto nei tempi di guerra a rappresentare la necessità di ristabilire il
limite, la sacralità dei luoghi e delle persone.
L’ideologia assunta oggi dalla modernità è una condizione di guerra
continua contro le forme della realtà naturale sostituite da astrazioni tecnologiche.
Un’economia in continua crescita è stata resa possibile filosoficamente
da un’idea di natura come variabile dipendente dalla cultura umana e
materialmente dalla grande (per i più ricchi) disponibilità petrolio.
Dal momento che l’accesso al petrolio diminuisce, riemergono in tutta
la loro sovranità materiale e morale i limiti della natura che ci liberano
dalla superbia napoleonica di voler essere noi il vento e ci riportano a
rialzare le vele dove soffia il vento.
Possiamo iniziare questa liberazione prima di percepire fisicamente la
fine del petrolio? Il sogno cullato per almeno tre decenni dagli ecologisti è stato di
riuscire a dare l’allarme, in modo che la società occidentale cambiasse
politica e stile di vita, abbandonasse un progresso fondato sullo sfruttamento
dei poveri e della natura, per evitare in tempo il disastro sanitario,
ecologico, energetico ed economico.
Alcuni speravano di convincere i politici a imporre per legge il rispetto
dei limiti naturali che le tecnologie consentivano di violare. Come scrisse
Illich, “solo stabilendo un tetto all’uso di energia si possono ottenere rapporti
sociali con alti livelli di equità. È pure la sola strategia che permetta
di usare una procedura politica per porre limiti al potere anche del più
motorizzato dei burocrati”, abbiamo perciò sperato di riuscire ad
applicare questa procedura politica. Ma occorreva una grande carica
profetica. La dimostrazione tecnica della possibilità di abbandonare gradualmente
il petrolio senza perdere in benessere, non basta a far cambiare politica,
perché gli esseri umani non sono razionali, hanno bisogno di amare.
È difficile riscoprire la qualità liberatoria delle leggi naturali per una
società che ha fatto della loro abolizione il suo diritto civile.
La rinuncia ai piaceri, alle comodità e seduzioni del mondo nasce da
una spinta interiore verso un più alto livello di libertà e in poche occasioni
questa spinta ha investito un popolo intero. Più di frequente i monaci si
ritirano nel deserto, nei cenobi o nelle mura dei conventi a pregare e lavorare,
obbedienti ai cicli dei giorni e delle stagioni, ritmati sulla
preghiera. La tecnologia, come ogni manufatto, contiene e trasmette un
comando materializzato datole da chi l’ha prodotta.
La natura è la materializzazione del comando del Creatore e come tale
è un quinto Vangelo: non c’è da meravigliarsi perciò che molti cenobi
siano stati fin dall’antichità anche ecologici con un certo livello di autosufficienza,
perché solo producendo almeno una parte di ciò che
soddisfa i nostri bisogni principali, si può entrare in contatto con i cicli
della terra. La fine del petrolio a basso costo sfata l’illusione che l’economia della
crescita e il suo progresso abbiano il potere di liberare gli affamati del
mondo. Solo passando a un’economia di riduzione dei bisogni dei paesi
ricchi e a un’equa distribuzione dell’accesso alle materie prime e alla loro
trasformazione da parte delle comunità locali si può vincere la fame. Ciò
significa ridurre il nostro prodotto interno lordo, diminuire la dimensione
dei mercati e sviluppare l’autoproduzione. È la tesi di questo volume:
l’energia del domani sarà soprattutto quella solare autotrasformata a
livello locale. Resta un interrogativo: come si può essere più liberi avendo di meno?
Ci sono molti aspetti di questa verità paradossale, mi limito a uno.
Gli esseri umani hanno una valigetta limitata di scelte.
I giorni durano poche ore, la concentrazione che possiamo esprimere
ha dei limiti, come le nostre conoscenze. Negli anni ’50 in una casa italiana
media c’erano meno di 800 oggetti, oggi siamo a più di 5000. Ogni oggetto
esige la nostra attenzione e ci impone una serie di scelte. Con l’aumentare
delle scelte si moltiplicano quelle meno importanti ma diminuisce lo
spazio per le scelte fondamentali. A queste sempre più pensano istituzioni,
gruppi finanziari e grandi imprese il cui principale scopo è massimizzare i
profitti. Perciò possiamo scegliere fra molte marche ma non trovare
un’auto che faccia più di 30 km al litro, possiamo scegliere fra molti
modelli ma non abbiamo la libertà di scegliere una società in cui l’auto
privata non è necessaria. Possiamo mandare l’assegno o un euro per via
cellulare ai colpiti dallo tzunami ma non possiamo assistere i nostri
genitori anziani. Il rispetto dei limiti è necessario alla protezione del libero arbitrio, cioè
a permettere che ciascuno usi le poche scelte della sua valigetta sui
problemi fondamentali della vita. La distruzione dei confini forma un
campo di battaglia dove vince sempre il più forte, che quasi mai è il più
saggio e il più rispettoso dei deboli e delle qualità più alte dell’animo
umano.